Follower, amici, like, visualizzazioni… diventate (volenti o nolenti) parte della quotidianità di persone e aziende, le metriche rappresentano uno sguardo fondamentale sul modo in cui gli utenti interagiscono con i nostri contenuti online.
Non tutti i dati, tuttavia, sono utili ad analizzare la situazione per quella che realmente è: esistono infatti le cosiddette vanity metrics, un insieme di indicatori che descrivono un fenomeno in superficie senza offrire, di base, informazioni utili.
Comprendere cosa sono, come si manifestano e perché possono risultare fuorvianti aiuta a impostare una misurazione più efficace: ne parliamo nelle prossime righe.
Come sempre, partiamo dalla definizione del termine. Le vanity metrics sono valori numerici che restituiscono un’impressione (a prima vista) positiva delle prestazioni di un progetto, di un contenuto o di un canale digitale, ma che (nella realtà) non incidono sulla valutazione concreta dei risultati. Vengono considerate “di vanità”, come suggerisce il nome stesso, perché producono un effetto rassicurante, pur non indicando progressi misurabili in termini di crescita, vendite o qualità del pubblico raggiunto; una pagina che accumula molti follower, ad esempio, può sembrare performante, ma senza un’interazione reale, un buon engagement o un impatto effettivo sugli obiettivi di business tale cifra resta un dato isolato (e sostanzialmente inutile).
Molti indicatori ritenuti significativi sono in realtà influenzati da fattori esterni, come l’andamento di un trend, la viralità temporanea di un contenuto o l’apporto di utenti non in target. Per questa ragione, la letteratura dedicata suggerisce di affiancare alle vanity metrics indicatori legati a comportamenti concreti: conversioni, completamento di un funnel, contatti qualificati o altri segnali che mostrano un effettivo avanzamento verso un risultato.
La distinzione non è sempre immediata, dato che alcuni valori possono essere considerati superficiali in un contesto e rilevanti in un altro. Una crescita numerica del traffico, ad esempio, non ha utilità se non si traduce in azioni sul sito, mentre diventa un dato significativo per valutare la copertura di un contenuto informativo; in altre parole, il punto di valutazione non riguarda la singola cifra, ma la sua relazione con un obiettivo misurabile.
Nel monitoraggio delle performance di un sito web, le vanity metrics assumono una serie di forme ricorrenti.
Una delle più frequenti riguarda il numero totale di visite: il suo aumento può apparire un segnale incoraggiante, ma senza analizzare la durata della sessione, le azioni compiute o il percorso verso un obiettivo, il dato non indica se il traffico provenga da utenti realmente interessati. Situazioni analoghe si presentano quando si osservano il picco di visualizzazioni di una pagina o la semplice crescita degli utenti unici: senza un parametro che rilevi il coinvolgimento, la provenienza delle visite o la coerenza con il target, gli indicatori rischiano di restare numeri slegati dal contesto.
Un altro esempio riguarda il tempo medio sulla pagina, valore che se isolato può creare interpretazioni ambigue; una permanenza elevata può segnalare crescita dell’interesse, ma può anche derivare da contenuti complessi, da difficoltà di utilizzo o da caricamenti lenti. Il dato acquisisce significato solo quando collegato al completamento di un percorso, a una richiesta di informazioni o a un miglioramento della navigazione.
Allo stesso modo, la quantità totale di pagine visualizzate non offre di per sé indicazioni sulla qualità dell’esperienza utente; un numero elevato può suggerire curiosità, ma anche difficoltà nel trovare ciò che si cerca: per valutare correttamente il comportamento è necessario osservare il rapporto tra pagine viste e progressione verso un risultato, analizzando l’intenzione dell’utente e la coerenza con la struttura del sito.
Nel caso dei social network l’esempio più noto di vanity metrics il numero di follower. Si tratta di un numero immediato, intuitivo, spesso usato come unità di misura della reputazione di un profilo; tuttavia, una base ampia non coincide necessariamente con un pubblico attivo o interessato: la presenza di utenti poco coinvolti, account inattivi, persone fuori target o addirittura profili falsi / bot può gonfiare la cifra senza produrre alcun impatto reale.
Anche le visualizzazioni dei contenuti rientrano nella categoria delle vanity metrics. Una visualizzazione non implica attenzione, comprensione o disponibilità a compiere un’azione. Alcuni formati registrano numeri elevati per la modalità di fruizione automatica o per la diffusione dell’algoritmo, motivo per cui il dato deve essere messo in relazione con altri segnali: commenti, condivisioni, interazioni qualificate o traffico verso un punto di contatto.
I like rappresentano un altro valore che può trarre in inganno. Molti contesti social favoriscono interazioni rapide, spesso legate allo scorrere del feed; in questo contesto, il numero risultante non sempre indica interesse autentico né contribuisce alla crescita di un progetto. In alcuni casi esiste un disallineamento tra la quantità di apprezzamenti e il comportamento del pubblico nei confronti dell’azienda, del prodotto o del contenuto presentato.
Un aspetto ricorrente riguarda anche la portata teorica dei contenuti, con la “reach” che mostra quante persone hanno avuto la possibilità di visualizzare un post, ma non rivela se il contenuto sia stato realmente osservato, letto o interpretato. La copertura elevata può derivare dall’ampliamento dell’audience da parte dell’algoritmo o da un contenuto generico che non produce un impatto sui destinatari.
Per questi motivi, bisognerebbe privilegiare dati in grado di restituire comportamenti concreti, come il numero di contatti generati, l’avanzamento di una conversione o la richiesta di informazioni: questi indicatori richiedono sicuramente più tempo per essere analizzati, ma offrono un quadro più utile per la valutazione delle attività.
Se la distinzione tra vanity metrics e indicatori realmente utili non è sempre immediata, è proprio perché ogni progetto digitale presenta obiettivi, contesti e dinamiche specifiche. Interpretare correttamente i dati significa andare oltre i numeri più visibili e costruire un sistema di misurazione coerente con ciò che si vuole ottenere, evitando letture superficiali e/o fuorvianti.
Perazza affianca le aziende nell’analisi delle performance digitali, aiutandole a definire metriche utili a trasformare i dati in scelte strategiche consapevoli. Se vuoi raccontarci il tuo progetto e capire come impostare una misurazione davvero efficace, puoi contattarci: il confronto è sempre il primo passo per dare valore ai numeri.